Grazie al contributo dei soci e delle socie volontarie del GIT Romagna e RSM di Banca Etica, il 4 ottobre scorso si è tenuto – al Circolo Ex Marini, presso un immobile di Forlì, confiscato alla criminalità organizzata – un interessante convegno sui temi della legalità e del bene comune.
Sono intervenuti i rappresentanti di varie associazioni a vocazione sociale e culturale presenti sul territorio, i quali si sono confrontati – partendo dalle rispettive esperienze – sui temi della “legalità”, della “comunità”, del “bene comune”, delle “nuove povertà” e delle iniziative da mettere in campo cooperando e mettendo a frutto le energie dei singoli.
Ma che senso ha, agli esordi del terzo millennio, parlare di legalità? Si tratta di una questione utile, seria ed attuale oppure – come verrebbe da domandarsi – parlandone astrattamente si legittimano le ingiustizie e le ipocrisie che, da millenni, l’umanità vive?
La parola “legalità” ha un significato obiettivo e ben preciso. È il rispetto della norma, della legge, della regola posta da un potere statuale, quello legislativo. Osservare la norma, dunque, significa stare nella legalità e conformare i propri comportamenti – di cittadini liberi – a ciò che la legge prescrive ed impone. In uno stato democratico, un organo statuale quale il Parlamento – eletto dai cittadini – “scrive” le leggi e ad esse i cittadini stessi si devono attenere per improntare le loro condotte alla “legalità”.
Si tratta di un concetto semplice e comprensibile.
Semplice, ma non banale.
Semplice, ma grandemente pericoloso.
La legge ed il rispetto di essa perimetrano la legalità. Eppure, nel corso della storia, quante leggi – rilette oggi – ci fanno sobbalzare dalle nostre comode poltrone e ci fanno rabbrividire pensando che quelle leggi erano tutt’altro che “legali”?
Ad esempio, le leggi razziali promulgate dall’Italia nel biennio 1938-1939 erano legali e come tali sono state applicate e rispettate. Espellere gli ebrei dalle scuole, dalle istituzioni pubbliche, dalle università e dal consesso sociale è stato per anni perfettamente legale: lo prevedeva, anzi lo imponeva, il nomos. Chi le ha applicate ha agito nella legalità. Nessuno può sostenere il contrario, neppure il più fine (e democratico) giurista.
È l’eterno dilemma di Antigone: rispettare la legge di Creonte che vieta di dare sepoltura a chi, da cittadino, ha combattuto in armi contro Tebe, la propria città, o rispettare la legge morale che impone di dare comunque degna sepoltura ai morti (fratelli, per di più)?
La nostra ipocrisia ci fa pensare – errando – che temi come quelli appena accennati siano vetusti e che oggi – fortunati noi ! – il quesito etico non si pone più.
Non è così, purtroppo.
La più grande democrazia occidentale (sic!) prevede ancora – anno domini 2024 – la pena di morte: gli stati uniti d’america (tutto minuscolo) – noti esportatori di democrazia nel mondo! – praticano regolarmente la pena di morte come strumento di giustizia. Non solo: erigono muri (fisici, non virtuali) a presidio dei propri confini, per non fare entrare il sud povero all’interno della propria terra. Ma non basta: fino a pochi anni fa praticavano l’apartheid come forma legalmente riconosciuta.
Non è questa la medesima domanda di Antigone? Non è questo il dilemma cui siamo, ancora oggi, chiamati a rispondere?
Se il piccolo Alan con la sua maglietta rossa intrisa di acqua salmastra – bimbo siriano di pochi anni morto sulle coste della Grecia, quella che fu un tempo la “culla dell’umanità” – è per noi solo una immagine da pubblicare sui social per condividere una ipocrita solidarietà fatta di emoticon con faccine piangenti e mani giunte a pregare, non siamo gli stessi che quasi un secolo fa hanno ghettizzato e bruciato gli ebrei?
Se a Lampedusa andiamo a fare i bagni di mare ma non a soccorrere la povera gente che scappa da guerre e carestie (provocate da noi, tra l’altro?), non siamo come i “volonterosi carnefici di Hitler” che nulla fecero per impedire che milioni di ebrei, di zingari, di omosessuali bruciassero nelle camere a gas?
Se non ci scandalizziamo e se non ci attrezziamo – unendo le nostre forze contro queste aberrazioni, antiche e moderne – non potremo dirci rispettosi della legalità.
Legalità è ciò che un organo istituzionale decide e chiede di rispettare.
Ma se un parlamento (minuscolo) decide che Ruby Rubacuori è la nipote di Mubarak pur di salvare le terga al proprio capo … allora, signori, della legalità nulla mi importa!
Mi importa invece di chi si tira su le maniche e gestisce beni confiscati alle mafie, apre cucine solidali, fa banca in modo etico e mette i valori dell’Uomo (maiuscolo) nel proprio quotidiano.
Perché fare Politica (maiuscolo) significa fare decorosamente il proprio – ciascuno per la sua parte – dentro la Polis, dentro un territorio comune, senza calpestare il Prossimo e senza ergersi a padroni degli altri.
Solo così la parola legalità potrà avere senso; in caso contrario, depenniamola tranquillamente dal nostro vocabolario!
Hélas …
Philip York